Tra Gesù, Pietro e un esattore poco simpatico, Masaccio trasforma un episodio sul tributo in una scena potente, moderna e sorprendentemente attuale

Tra i capolavori del primo Rinascimento, il “Tributo” di Masaccio occupa un posto speciale. L’affresco fa parte del ciclo della Cappella Brancacci, nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, ed è uno di quei dipinti che segnano uno spartiacque: dopo di lui, la pittura non sarà più la stessa. Il cantiere era stato affidato a Masolino da Panicale, ma l’intervento di Masaccio, più giovane e già proiettato verso un linguaggio moderno, finisce per imporsi su tutto.
Un cantiere condiviso, uno stile che spiazza
Masolino porta ancora il peso dell’ultimo Gotico internazionale: figure più eleganti che solide, linee morbide, gusto decorativo. Masaccio, al contrario, costruisce corpi compatti, volumetrici, illuminati da una luce vera. Non si tratta solo di una differenza di mano, ma di una diversa idea di pittura. Per i critici è quasi un passaggio di consegne: il mondo medievale lascia spazio alla nuova visione rinascimentale.
Un episodio evangelico scelto per parlare di tasse
Il soggetto viene dal Vangelo di Matteo: a Cafarnao viene chiesto a Gesù di pagare il tributo per il tempio. Cristo ordina a San Pietro di andare al lago; nel primo pesce che pescherà troverà una moneta sufficiente a saldare il dovuto. Non è certo uno degli episodi più popolari della vita di Gesù, ma a Firenze, in quel momento, è perfetto: la città sta introducendo il catasto e nuove imposte sui cittadini. Il messaggio è chiaro: se persino Cristo non si sottrae al pagamento, anche i fiorentini devono accettare le tasse.
Tre momenti in una sola scena
Masaccio adotta una soluzione ancora legata alla tradizione medievale: racchiude tre momenti narrativi nello stesso spazio.
Al centro, Cristo circondato dagli apostoli forma il nucleo della composizione; le figure, robuste e avvolte da panneggi monumentali, ricordano le sculture di Donatello. A lui si avvicina l’esattore, ritratto di spalle con la mano tesa: è il “personaggio negativo”, trattato come Giuda o il diavolo in molte iconografie.
Il gesto di Cristo, che indica verso sinistra, viene ripreso da Pietro e simboleggia l’accettazione dell’ordine. Sulla sinistra, infatti, lo vediamo mentre apre la bocca del pesce e trova la moneta; sulla destra lo ritroviamo nel momento finale, mentre consegna il denaro all’esattore in primo piano, proprio lì dove l’osservatore non può ignorare l’atto del pagamento.
Prospettiva, spazio e realismo
Il volto di Gesù diventa il vero punto di fuga prospettico: tutte le linee convergono verso di lui, organizzando lo spazio con una coerenza nuova. Gli alberelli sullo sfondo guidano lo sguardo verso il paesaggio e aumentano la profondità; i monti sono resi con un realismo sorprendente per l’epoca.
Pur mantenendo alcuni tratti “antichi”, come la narrazione simultanea dei tre momenti, il Tributo è una lezione di costruzione spaziale, di luce e di umanità. Ed è uno dei motivi per cui la Cappella Brancacci è stata definita, non a caso, “la scuola del Rinascimento”.





